jueves, 12 de agosto de 2010

IL CENSIMENTO DEL PARKER. QUANTI RELITTI ANCORA DA SCOPRIRE NEL MEDITERRANEO? (parte seconda)

A cura di Ivan Lucherini
una nave di epoca romana, tante sono ancora quelle che nascondono segreti affascinanti per lo studioso
È possibile un raffronto fra quegli Stati che hanno adottato nel tempo una politica di implemento della ricerca scientifica archeologica con altri dove la presenza di evidenze archeologiche subacquee è nota solo grazie alla buona volontà dei cittadini che ne hanno denunciato i ritrovamenti. Nella successiva tabella, da me elaborata, ho posto a confronto, appunto, il numero dei relitti segnalati per singolo Stato in rapporto all’estensione in km di costa dello Stato in esame. Ne è derivato quello che definisco un coefficiente di ritrovamento, enucleato in numero di relitti antichi per ogni 10 km di costa:

TABELLA 4
Numero di relitti presenti ogni 10 km di coste per singolo Stato – elaborazione
Ivan Lucherini da dati A. J. Parker 1992 e estensioni costiere
Stato
relitti
Km costa
n° relitti ogni
10 km di costa


Italia
 428
7.600
0,56


Francia
282
3.427
0,82


Spagna
134
4.964
0,27


Croazia
92
5.835
0,16


Grecia
84
13.676
0,06


Turchia
63
7.200
0,09


Israele
31
273
1,14


Cipro
15
648
0,23


Malta
12
253
0,47


Libano
9
225
0,40


Bulgaria
8
354
0,23


Marocco (con il Belgio )
7
1.835
0,04


Libia, Siria e Tunisia (con la Svizzera)
6
2.918
0,02


Algeria e Monaco
4
1.002
0,04


Romania
3
225
0,13


Egitto
2
2.450
0,01


Montenegro (con Georgia, Ungheria, Sudan e Ucraina)
1
199
0,05




le coste e i porti del Mediterraneo romano
Da una prima valutazione di questi dati si può notare sicuramente la preminenza dello Stato di Israele, con la presenza di 1,14 relitti ogni 10 km di costa e della Francia, con 0,82 relitti ogni 10 km di costa. Questi alti indici evidenziano come Israele e Francia siano stati – almeno fino al 1992, data della pubblicazione del rapporto del Parker – gli Stati nazionali più solerti nel raccogliere le informazioni riguardanti i relitti antichi naufragati lungo le loro coste. In effetti risale al 1966[1] l’istituzione, in Francia, del DRASM successivamente evoluto nel DRASSM (Département des recherches archéologiques 
subaquatiques et sous-marines), su iniziativa del Ministero della Cultura, con compiti attinenti alla ricerca, tutela e catalogazione del patrimonio archeologico subacqueo. Allo scopo la nascente organizzazione venne dotata dell’Archéonaute: una nave dismessa della Marina Militare che, opportunamente attrezzata, ben si adattava allo scopo e al servizio richiesto. E così in Israele, nel 1972[2], principiava l’opera del Recanati Center for Maritime Studies, diretta emanazione dell’Università di Haifa. Oltre agli scopi prefissi di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo prospiciente le coste israeliane, l’istituto vantava come attività anche la formazione di archeologi subacquei in ambito universitario, dimostrandosi così illuminato precursore in quel campo che poi avrà un enorme sviluppo e desterà negli anni successivi un’imponente attenzione anche da parte di settori della società civile non direttamente deputati a questo. In Italia, negli stessi anni, qualcosa si avviava con l’Istituto di Studi Liguri, generato dalla fervida intraprendenza del Professor Nino Lamboglia. Vennero attrezzate le navi da ricerca Cycnus e Cycnulus[3], che avevano preso il posto della Daino[4] e furono organizzati corsi per giovani studiosi e Congressi Internazionali: opportunità uniche di dialogo e confronto sui temi della nascente disciplina. La prematura scomparsa del professor Lamboglia per un banale incidente ebbe come conseguenza l’affievolirsi delle iniziative generate in tale direzione, che avevano coinvolto ampie schiere di volontari, iniziando a sensibilizzare la platea degli appassionati e perseguendo nel contempo gli obiettivi di valorizzazione e tutela attraverso la condivisione e la collaborazione di chi in mare ci va per passione e diletto.
la sezione di una trireme
Ritornando alla tabella 4, vediamo come si evidenzino con indici molto bassi gli Stati del Nord Africa: Egitto, 0,01 relitti ogni 10 km di costa; Algeria 0,04; Libia, Siria e Tunisia 0,02; Marocco 0,04 al fondo di una ipotetica classifica virtuosa a far compagnia alla Grecia, 0,06 relitti[5] e alla Turchia, 0,09. Questi dati dimostrano che laddove non si è proceduto a istituire organismi deputati ad affrontare una ricerca sistematica e programmata, i ritrovamenti sono risultati scarsi e legati alla casualità, ma soprattutto al senso civile e allo scrupolo di chi si è imbattuto in quelle evidenze archeologiche volendone segnalare la presenza alle Autorità competenti. In estrema sintesi, questi dati ci sostengono nel formulare un’ipotesi di lavoro: molti relitti antichi possono essere scoperti solo che se ne voglia attivare la ricerca metodica e sistematica, mutuando ed elaborando i concetti di ricerca dall’archeologia dell’ambiente e dalle linee guida teoriche della new archeology. Una precisa analisi dei fondali, attraverso l’uso di apparecchiature pensate e realizzate per le industrie estrattive in alto fondale, ma che possono essere impiegate e senz’altro contribuire anche allo sviluppo della ricerca archeologica subacquea, consentirebbe di annoverare fra i siti conosciuti molte più evidenze di quelle finora note, e questo solo perché mai indagate.  A supporto di questa tesi voglio citare i dati derivanti dal progetto Archeomar ed estratti dal sito web dove compaiono[6]. Dalla pagina dei risultati conseguiti possiamo rilevare come nell’indagine sulle prime quattro regioni italiane (Puglia, Basilicata, Calabria e Campania) siano stati schedati 287 siti di rilevanza archeologica, di cui 100 inediti. Con una rapida proporzione possiamo affermare che oltre il 34% dei ritrovamenti conseguenti a quell’indagine, svolta negli anni 2004/2005, erano sino ad allora sconosciuti.
Possiamo disporre di un’altra serie di dati significativi riguardo al potenziale target di ricerca sul numero dei relitti affondati lungo le rotte mediterranee e del mar Nero. Grazie alla cortesia dell’Ufficio preposto dell’Istituto Idrografico della Marina, diretta emanazione del Ministero della Marina Militare, ho potuto disporre di una carta che riporta, per l’intera superficie del Mediterraneo e del mar Nero, le suddivisioni batimetriche e il calcolo delle estensioni marine per singola profondità[7]. Ne ho così ricavato le percentuali statistiche di estensione per le quote batimetriche su cui si concentra questo lavoro. Eccone il risultato:

TABELLA 5
Il bacino del Mediterraneo e Mar Nero suddiviso in
kmq in rapporto alle profondità
elaborazione Ivan Lucherini
profondità
kmq
percentuali

Da 0 a 50 metri
296.245
9,69%

Da 50 a 100 metri
212.618
6,96%

Da 100 a 110 metri
30.637
1,00%

Da 110 a 120 metri
22.223
0,73%

Da 120 a 130 metri
22.056
0,72%

Da 130 a 140 metri
18.497
0,61%

Da 140 a 150 metri
18744
0,61%

Da 0 a 150 metri
621.020
20,32%

Da 50 a 150 metri
324.775
10,63%

Totale superficie Med. e Mar Nero
3.055.700
100,00%


Da questa tabella possiamo desumere che circa il 10% dell’intera superficie[8] del Mediterraneo e mar Nero, 296.245 kmq, ha una profondità da 0 a 50 metri ed è la zona di mare dove si concentra il maggior numero di segnalazioni presenti nel censimento del Parker. Le superfici di questi due mari con batimetriche da 50 a 100 metri corrispondono a 212,618 kmq, pari al 6,96% dell’intera superficie, mentre se allarghiamo il range operativo e di indagine, così come indicato dagli obiettivi di questa ricerca e cerchiamo il dato da 0 a 150 metri di profondità, scopriamo che la superficie interessata è pari a 621.020 kmq ed equivale al 20,63% dell’intero insieme.
Qualora volessimo aggiungere una colonna alla tabella 5, riportando in essa il numero dei relitti ritrovati alle corrispondenti profondità e dichiarati tali dal censimento del Parker, potremmo disporre di un’altrettanto importante strumento di raffronto e di analisi, che ci aiuti a comprendere come la ricerca mirata su determinate aree, di profondità nota, possa colmare una lacuna e generare una messe di evidenze da indagare. Ecco qui sotto la tabella:

TABELLA 6
Il bacino del Mediterraneo e mar Nero
suddiviso in kmq in rapporto alle profondità e relitti presenti
elaborazione Ivan Lucherini
profondità
kmq
Percentuali
n° relitti
Da 0 a 50 metri
296.245
9,69%
753
Da 50 a 100 metri
212.618
6,96%
73
Da 100 a 110 metri
30.637
1,00%
0
Da 110 a 120 metri
22.223
0,73%
0
Da 120 a 130 metri
22.056
0,72%
0
Da 130 a 140 metri
18.497
0,61%
0
Da 140 a 150 metri
18744
0,61%
0
Da 0 a 150 metri
621.020
20,32%
0
Da 50 a 150 metri
324.775
10,63%
0
Oltre 150 metri[9]
2.434.680
79,68%
7
Totale superficie Med. e Mar Nero[10]
3.055.700
100,00%
833

un'operazione di recupero
Come si può osservare, i ritrovamenti e le segnalazioni contenute nel censimento citato si condensano nelle batimetriche entro i 50 metri[11] giacché assommano a 753 unità, mentre nelle profondità comprese fra 50 e 100 metri si riducono significativamente a 73 unità. Interessante notare come le 7 segnalazioni evidenziate con profondità superiori a 150 metri siano in realtà poste a quote batimetriche che vanno dai 240 metri ai 2.385 metri, segno evidente che tali reports sono frutto di sondaggi operati da ricerche oceanografiche al servizio di indagini conoscitive che avevano scopi diversi da quelli precipui dell’archeologia subacquea. Elaborando ulteriormente tali dati, vediamo di enucleare attraverso l’organizzazione di una nuova tabella un altro coefficiente di ritrovamento corrispondente al numero di relitti per kmq, suddivisi nelle due fasce di profondità corrispondenti a quelle fino a 50 metri e a quelle dai 50 fino ai 150 metri:

TABELLA 7
Numero di relitti presenti a batimetriche differenti fino a 150 mt di profondità
bacino del Mar Mediterraneo e mar Nero
elaborazione Ivan Lucherini

numero
kmq
1 relitto ogni
Relitti censiti a prof. 0-50 metri
753
296.245
393 kmq
Relitti censiti a prof. 50-150 metri
73
324.775
4.449 kmq

Dall’analisi della tabella 7 si evidenzia, ancora una volta, una palese,  fortissima, incongrua disparità di dati: un relitto ritrovato ogni 393 kmq di mare con profondità fino a 50 metri contro un relitto ritrovato ogni 4.449 kmq, in un raffronto che tratta di superfici in realtà omogenee, poiché fino a 50 metri di profondità abbiamo 296.245 kmq pari al 9,69% dell’intera superficie marina mediterranea e del Mar Nero, mentre oltre i 50 e fino ai 150 metri di profondità copriamo 324.775 kmq, pari al 10,63% della stessa superficie in zone costiere che videro, in tutte le epoche di cui trattiamo, corposa la navigazione costiera e di cabotaggio. Questo confronto ci porta alla genesi e all’elaborazione di un nuovo concetto importante: dato atto che la navigazione nell’Evo antico era prettamente una navigazione costiera, è di fatto impossibile che in tratti di mare così vicini alla costa[12] non ci sia una diffusione omogenea di siti e di evidenze storico-archeologiche.
L’enorme numero di navigli che ha percorso le rotte costiere dei nostri mari e vi ha trovato cattiva fortuna in un arco cronologico così ampio (compreso almeno dalla prima metà del II° millennio a.C. a tutto il XV° secolo dell’era moderna), ci induce ad affermare, con ottime probabilità di cogliere nel segno, quanto segue: se fino a 50 metri di profondità sono state segnalate 753 evidenze archeologiche subacquee[13], almeno altrettanti siti e scafi affondati sono sepolti dall’oblio indotto da quella batimetria che li ha resi finora inaccessibili all’uomo che operi con i modesti mezzi messi a disposizione della ricerca archeologica subacquea. Ora questo limite può essere ragionevolmente superato, offrendo la concreta  possibilità a importanti – e finora impensabili – traguardi della ricerca.


[1]    R. Petriaggi, B. Davidde -2007- pag.41.
[2]    R. Petriaggi, B. Davidde -2007- pag.41.
[3]    N. Lamboglia -Ricerche e scoperte di archeologia sottomarina in Liguria dal 1959 al 1961, in Atti del III Congresso Internazione di Archeologia sottomarina- Albenga 1958 – Bordighera 1971a – pag. 176-192.
[4]    N. Lamboglia -Lo stato attuale dell’archeologia sottomarina in Italia, in Atti del II Congresso Internazione di Archeologia sottomarina- Albenga 1958 – Bordighera 1961a – pag. 12-17.
[5]    La Grecia risulta forse penalizzata in questo raffronto per via dalla notevole estensione delle sue coste  frastagliate e suddivise in migliaia di arcipelaghi, isole e penisole.
[6]    www.archeomar.it
[7]    Se ne riproduce una copia della carta in appendice.
[8]    Il bacino del Mediterraneo unito a quello del Mar Nero coprono una superficie totale corrispondente a 3.055.700 kmq.
[9]    I sette relitti censiti dal lavoro del Parker e posti oltre la quota di 150 metri di profondità sono individuabili nella stessa pubblicazione alla scheda 175 profondità 328 metri; scheda 356 profondità da 2.360 a 2385 metri; scheda 358 profondità 300-400 metri; scheda 447 profondità 400 metri; scheda 517 profondità 818 metri; scheda 767 profondità 240 metri; scheda 1.081 profondità 530 metri.
[10]  Dal totale dei relitti censiti sono esclusi da questo dato i 356 relitti che nel censimento del Parker sono evidenziati con profondità sconosciuta.
[11]  Probabilmente questo dato si accrerrebbe se si individuassero le reali profondità di giacitura dei 356 relitti dichiarati appartenere a quelli con profondità sconosciuta.
[12]  Occorre ricordare che batimetriche entro i 150 metri si possono ritrovare solo in tratti di mare vicinissimi alle coste. In certe zone della Liguria per esempio a soli 30-40 metri dalla costa.
[13]  Ricordiamo che anche questo è un dato vecchio di quasi un ventennio.

Fuente: http://www.sottacqua.info/2010/07/il-censimento-del-parker-quanti-relitti-ancora-da-scoprire-nel-mediterraneo-parte-seconda/

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