martes, 21 de diciembre de 2010

L'Archeologia Marina e il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina


Le profondità marine hanno da sempre esercitato un grande fascino sull'uomo, che ha cercato di esplorarle, sia per il puro piacere di cimentarsi con la possibilità di nuotare sott'acqua, sia per sfruttare i doni che il mare contiene, sia infine per riprendere al mare i carichi, o almeno gli oggetti più preziosi delle navi naufragate.
E' noto come in Grecia, fin dall'antichità, la pesca delle spugne, delle perle, o delle murici da cui ricavare la porpora, fosse una delle principali attività dei pescatori più abili nell'immersione in apnea. E le prime attività connesse con i lavori di recupero dei carichi delle navi naufragate, o di quelli deliberatamente gettati in mare per alleggerire il carico durante le tempeste, sono documentate in epoca romana da iscrizioni che menzionano gli urinatores, cioè nuotatori subacquei specializzati in quel particolare lavoro, presenti presso gli scali fluviali del Tevere e nel porto di Ostia.
Naturalmente, per effettuare con maggiore efficacia l'attività subacquea, l'uomo ha fatto ricorso, nell'arco dei secoli, ad attrezzature sempre più sofisticate.
Già Aristotele descrive l'impiego, per respirare sott'acqua, di cannelli con un'estremità emergente dalla superficie del mare.
Alessandro Magno Miniatura indiana del XVI secolo che rappresenta Alessandro Magno (IV sec. a.C.) durante un'immersione in una campana di vetro (Da Gandolfi 2000)
Tra le innumerevoli imprese fantastiche attribuite ad Alessandro Magno, si narra che il re macedone si fece calare in mare protetto da un involucro di vetro, per conoscere da vicino le meraviglie del mondo marino.
Nel Rinascimento l'interesse per l'ignoto mondo subacqueo favorì la ricerca di nuovi mezzi di ausilio; di macchinari per esplorare il fondo del mare si occupò, manco a dirlo, Leonardo da Vinci mentre il famoso architetto Leon Battista Alberti, a metà del '400, tentò invano, con l'aiuto di uno zatterone e di grossi uncini, di recuperare le due navi da diporto dell'Imperatore Caligola (12 - 41 d.C.) affondate nel lago di Nemi. L'impresa fu ritentata un secolo dopo dall'ingegnere militare Francesco de Marchi, che si calò personalmente nelle acque del lago laziale all'interno di una campana di legno munita di un vetro per vedere all'esterno, ma l'esperimento per poco non si trasformò in tragedia.
Nel corso del XVII secolo furono perfezionate le attrezzature, tra cui la campana batiscopica messa a punto dall'astronomo inglese Edmund Halley; notevole impulso all'attività subacquea nei primi anni del XIX derivò dall'invenzione della prima tuta da palombaro realizzata da K.H. Kleingert nel 1798, che consentiva maggiore autonomia e manovrabilità in immersione, e determinò un grande incremento nelle ricerche e nel recupero di beni sommersi.
E ancora ad opera di palombari venne effettuata nella prima metà del Novecento la scoperta del relitto di Anticitera, vicino all'isola di Creta, e di quello di Mahdia, davanti alle coste della Tunisia.
Efebo di Anticitera Il cosiddetto Efebo di Anticitera, Atene, Museo Nazionale (Gandolfi 2000))
Il relitto di Anticitera è di una nave affondata vicino all'isola di Creta nei primi decenni del I sec. A.C. con un carico di sculture greche in marmo e in bronzo, tra cui la famosa statua di Efebo del IV sec. A.C. L'opera, che risale alla metà del IV sec. a.C., è un prodotto della cosiddetta scuola d'Argo, che risente dell'influenza di Policleto. La statua, infatti, presenta la posa conforme al canone policleteo (lato sinistro, portante, a piombo e l'altro animato da un accenno di moto), ma rivela contemporaneamente la volontà di rappresentare l'atto imminente o il gesto attuale. La statua forse raffigura Paride con la mela, o Perseo con la testa della Medusa.
Genio alato Il cosiddetto "Genio alato", nell'atto di incoronarsi. Relitto di Mahdia, Tunisi, Museo del Bardo (Gandolfi 2000)
Il relitto di Mahdia anch'esso affondato nella prima metà del I sec. A.C., è stato ritrovato davanti alle coste della Tunisia; la nave trasportava, probabilmente verso Roma, un carico di opere d'arte costituito di statue di marmo e di bronzo di varie dimensioni, tra cui un genio alato in atto di incoronarsi, alcuni nani danzanti, un efebo che suona la cetra, un Hermes con mantello e calzari alati.
Ma già nel recupero del prezioso carico della nave affondata a Mahdia veniva sperimentato l'autorespiratore ad aria, di recente invenzione, che avrebbe provocato una vera rivoluzione nel campo delle immersioni e delle attività subacquee, mettendo in disuso la gloriosa tuta da palombaro del secolo precedente.
L'invenzione, che consente al sommozzatore l'indipendenza dalla superficie e una pressoché totale libertà di movimento, era stata messa a punto nel 1943 dal giovane ufficiale della marina francese Jacques Yves Cousteau e dall'ingegnere Emile Gagnan e, grazie al nuovo strumento, il numero dei subacquei è andato enormemente aumentando specialmente negli ultimi decenni, a vantaggio della ricerca archeologica sottomarina.
La conseguenza negativa è stata il moltiplicarsi delle azioni di saccheggio dei reperti sommersi, non considerati come patrimonio culturale comune, ma come oggetti da collezionismo di provenienza quasi misteriosa. Ancora oggi infatti è valida l'antichissima usanza mediterranea dell'attribuzione dei resti di un naufragio a chi se ne impadronisce per primo, il che ha talora ispirato la malvagia pratica di far naufragare le navi per accaparrarsi i loro carichi, come per certo già avveniva in alcune regioni del tardo Impero Romano.
Le ricerche sistematiche nei mari italiani ebbero inizio nel 1957, quando fu creato, in seno all'Istituto Internazionale di Studi Liguri, il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, con sede ad Albenga, dove era iniziata la ricerca subacquea mediterranea con il ritrovamento e l'esplorazione del relitto della nave romana, detta appunto "di Albenga", ad opera di Nino Lamboglia, pioniere dell'esplorazione archeologica sottomarina.
Targa Lamboglia La targa in via Croce di Malta a Imperia
Nel 1958 l'Italia ebbe per prima una nave militare utilizzata per le ricerche archeologiche sottomarine: fu infatti assegnato al Centro sperimentale di Albenga l'ex dragamine "Daino", che, attrezzato opportunamente, permise al Centro di estendere dal 1959 al 1963 le sue campagne annuali su tutte le coste italiane, esplorando relitti e città sommerse.
Durante le ricerche realizzate nel 1964-65 venne condotta l'esplorazione sistematica dei fondali intorno all'isola Gallinara, che hanno restituito materiali di diverse epoche, databili dal V sec. A.C. all'età moderna.
Nel 1968 il Centro poté continuare il suo programma di ricerca armando una propria nave, la "Cycnus" dove vennero sistemate tutte le attrezzature della "Daino", che fu affiancata da un piccolo battello di appoggio, il "Cycnulus", utilizzato per i sopralluoghi veloci e gli interventi di minor impegno. La nuova organizzazione permise una serie di annuali campagne di ricerca e di esplorazione lungo gli 8000 km di costa della penisola.
Furono realizzati in quegli anni numerosi interventi: in Puglia sul relitto di porto Badisco, nelle acque di Populonia nel golfo di Baratti, nel porto etrusco di Pyrgi a Santa Severa, nelle isole Eolie vicino a Filicudi.
Nel 1973 il Centro intervenne anche nel litorale ionico calabrese, a Riace, dove nel 1972 erano state quasi miracolosamente scoperte le due famose statue dei guerrieri bronzei del V sec. A.C.
A partire dal 1977, nonostante la tragica morte in mare del suo fondatore e primo direttore Nino Lamboglia, e il disarmo delle navi Cycnus e Cycnulus, il Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina ha continuato la sua attività, affittando di volta in volta i mezzi nautici sui quali venivano ospitate le attrezzature. Tra gli interventi di maggior rilievo si ricordano le esplorazioni sul relitto di Cala Piccione a Baratti, lo scavo nel porto di Olbia, quello sulla nave a dolia di Diano Marina e quello della necropoli neolitica sommersa, nel laghetto terminale della Grotta Verde di Alghero.
Unico nel suo genere è il fortuito ritrovamento di Fiumicino, durante gli scavi per la realizzazione dell'aeroporto, che ha restituito gli scafi di cinque navi databili a cavallo tra il II e il III secolo dell'era cristiana, illuminanti sulle tecniche di costruzione degli antichi maestri d'ascia.
Dagli oggetti che si rinvengono sui relitti, che trovano riscontro nelle fonti scritte, è possibile conoscere la vita di bordo: dalle pentole, a volte con segni di bruciato, e dal vasellame, a volte con resti di ossa animali, si conosce l'alimentazione; su alcune imbarcazioni sono stati scoperti resti di focolare, mortai, macine per ricavare farina dai cereali, vasellame e contenitori vari di terracotta e di bronzo, per alimenti solidi e liquidi. Sono anche stati ritrovati oggetti personali, indumenti e monili, nonché monete e stadere per le operazioni commerciali, una volta giunti a destinazione; e persino attrezzi di bordo, come bozzelli di legno, frammenti di cime e cordami, ancore e scandagli.

Fuente: http://www.sullacrestadellonda.it/archeo/archeoindex.htm

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